La sigla EMDR viene dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, ossia Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari. Il movimento degli occhi (o altra stimolazione bilaterale alternata) viene infatti utilizzato per attivare alternativamente i due emisferi cerebrali, come accade nel sonno REM, la fase del sonno in cui sogniamo: la sigla REM sta proprio per Rapid Eye Movement, rapidi movimenti oculari.
L’EMDR è un metodo psicoterapico strutturato che facilita il trattamento di diverse psicopatologie legate ai traumi: sia a quelli “con la T maiuscola”, ossia eventi legati alla morte, o al pericolo di morte, proprio o di una persona cara, sia a quelli “con la t minuscola”.
Su questo secondo tipo di trauma è necessario fare un po’ di chiarezza, in quanto la parola “trauma” viene spesso utilizzata a sproposito. A volte con eccessiva facilità (per esempio si cerca di tutelare i bambini da qualsiasi esperienza che potrebbe implicare un fallimento perché potrebbe “traumatizzarli”), altre volte invece si minimizzano esperienze realmente molto disturbanti, liquidandole come eventi che bene o male capitano a tutti (per esempio bullismo a scuola, mobbing sul lavoro).
La terapia EMDR ha come base teorica il modello AIP (Adaptive Information Processing, elaborazione adattativa dell’informazione), che afferma che i ricordi non elaborati possono dare origine a molte disfunzioni. Non pensare ad alcune esperienze è un meccanismo di difesa certamente utile sul breve periodo, ma che spesso cede non appena accade qualcosa che ci riporta con la mente a quel ricordo che pensavamo sepolto definitivamente.
Attraverso l’EMDR il ricordo viene rievocato in un contesto protetto e guidato, quello della psicoterapia, e la persona può affrontarlo, rielaborarlo, e superarlo: il che non vuol dire dimenticarlo, bensì essere capaci di “lasciare il passato nel passato”, come recita il titolo del primo libro di Francine Shapiro, inventrice della tecnica.
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