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Shinrin-yoku, consigli per il weekend.

L’estate sta volgendo al termine, ma abbiamo ancora davanti a noi qualche settimana in cui il meteo ci concederà qualche weekend fuori porta. Perché non provare lo shinrin-yoku?

Molti di voi avranno sentito parlare di questa pratica, letteralmente “bagno nella foresta”, molto diffusa in Giappone.

Il Giappone è una terra dalle mille contraddizioni, dove da un lato troviamo ritmi di vita folli e frenetici (famose tempo fa le foto di uomini d’affari che dormivano in strada, stremati dal lavoro), ma dall’altro esiste una stazione del treno che ferma in mezzo al nulla, solo per ricordare l’importanza di fermarsi. Ed è proprio da questa terra affascinante che ci arriva un suggerimento di una semplicità disarmante: stare a contatto con la natura fa bene, al corpo e allo spirito.

La pratica dello shinrin-yoku nasce negli anni ’80. Da allora, molti scienziati hanno condotto ricerche per dimostrarne l’efficacia.

Una review degli studi pubblicati tra il 2007 e il 2017 dimostra che trascorrere del tempo nella natura migliora il sistema immunitario, il sistema cardiovascolare e il sistema respiratorio. Può ridurre la pressione sanguigna, migliorare il ciclo sonno-veglia, e ridurre lo stress.

Il merito di questi benefici è da attribuire ai fitoncidi, sostanze contenute nel legno che vengono rilasciate dagli alberi in forma volatile, per difendersi dai parassiti (come già dimostrava uno studio del 2006).

Ciò vale anche per chi si prende cura di un orto: uno studio del 2015 dimostra che l’orticoltura è collegabile a cambiamenti fisiologici in pazienti che partecipavano a un programma di riabilitazione cardiopolmonare ospedaliera. I pazienti hanno manifestato un miglioramento nella frequenza cardiaca e anche nei disturbi dell’umore.

Un’altra review del 2017 concludeva però che passare del tempo nella verde avesse sì effetti positivi sulla salute, ma non così chiari da creare linee guida per pratiche cliniche standardizzate.

Uno studio recentissimo (luglio 2019) sembra finalmente aver trovato la ricetta: 120 minuti nel verde ogni 7 giorni. I partecipanti (20.000 persone) hanno descritto le loro attività nella settimana precedente, riferito il loro stato di salute e la loro sensazione di benessere generale. Tra coloro che non avevano trascorso tempo nella natura, circa un quarto ha riportato di aver avuto problemi di salute, e circa la metà una sensazione di insoddisfazione. Tra chi aveva trascorso due o più ore nella natura, solo un settimo ha riportato problemi di salute, e circa un terzo si è detto poco soddisfatto. 

Ma diciamoci la verità… vogliamo davvero che il piacere di una passeggiata nel bosco, annusandone i profumi, accarezzandone i fiori, abbracciandone gli alberi, riempiendosi gli occhi di sole e bellezza, diventi una pratica manualizzata?

Se volete sperimentare (letteralmente) sulla vostra pelle, vi lascio qualche suggerimento, basato sulla mia esperienza di psicologa e praticante di meditazione, ma senza nessuna pretesa di dettare regole.

  1. L’approccio: lo shinrin-yoku non è una scampagnata, ma un’immersione nella natura, qualcosa di molto vicino alla meditazione.
  2. Scegliete un luogo che vi ispiri. Se non avete modo di recarvi in bosco, un parco vicino casa va benissimo.
  3. Camminate senza fretta, non c’è una meta.
  4. Usate tutti i sensi: sentite sulla pelle il sole, il vento, respirate a pieni polmoni tutti gli odori, osservate con calma i dettagli, come i piccoli insetti, ascoltare tutti i suoni, accarezzate alberi e piante.
  5. Prestate attenzione anche al vostro corpo: il respiro, il battito del cuore, il movimento dei piedi sulla terra.
  6. Potete anche camminare in gruppo, l’importante è avere tutti il medesimo atteggiamento.
  7. Se volete fare uno spuntino, cogliete l’occasione per gustarvi veramente quel panino che nella vita quotidiana trangugiate di corsa tra un appuntamento di lavoro e l’altro.
  8. Non riuscite a camminare a lungo? Godetevi la natura da una comoda panchina! I benefici sono gli stessi.
  9. Una piccola noiosa ma necessaria precisazione: i boschi possono essere anche pericolosi, se non siete esperti di montagna. Usate sempre abbigliamento e attrezzature adeguati e non inerpicatevi su sentieri difficili se non siete preparati fisicamente.

… e se avete altri suggerimenti, aspetto i vostri commenti!

 

(Photo by Lukasz Szmigiel on Unsplash)

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I disturbi d’ansia: un’intervista a Radio Veronica One

Ieri sera, o meglio, ieri notte, su Live Social di Radio Veronica One andava in onda una mia intervista sui disturbi d’ansia. Abbiamo parlato di emozioni, attacchi di panico, psicoterapia e prevenzione.
Per tutti i non-nottambuli, a questo link trovate un estratto della videointervista.

Buon ascolto e buona visione!

 

Fertility Day, riflessioni di una psicologa.

La notizia non è fresca, ma ho preferito riflettere prima di scrivere.

Non volevo scrivere presa dall’indignazione, perché, come un’enorme percentuale delle donne italiane, è questo quello che anche io ho provato di fronte alla campagna pubblicitaria sul Fertility Day.

Una campagna che si è dimostrata capace di ferire ogni tipo di donna: “giovane” (come recitano le ormai celebri cartoline) o “vecchia” (parola che viene sottintesa), fertile o sterile, occupata o disoccupata (con tutte le sfumature che esistono nel mezzo, quelle delle mille forme di lavoro precario), con un compagno o single, eterosessuale o omosessuale (perché ricordiamoci che esistono anche le coppie gay, e che loro, se anche volessero procreare, in Italia non possono). Si sono indignate molte donne per le quali un figlio non è semplicemente nei propri progetti di vita, ma anche molte madri.

Due considerazioni posso fare in quanto psicologa.

La prima riguarda la comunicazione. Non bastano una bella grafica e uno slogan accattivante (ammesso che quelli in questione lo siano). Questa è la forma. Ma il contenuto? Il contenuto è semplice: il Ministero della Salute sta dicendo alle cittadine italiane che vuole che la natalità aumenti. Prima di diffondere questo messaggio, non sarebbe utile chiedersi se lo Stato Italiano metta effettivamente le cittadine in condizione di avere uno o più figli, come molte di loro peraltro già desiderano? Se ci si fosse fermati un istante prima di diffondere la tanto contestata campagna, si sarebbe visto che lo Stato, ahimè, non attua nessuna politica di sostegno alla genitorialità che possa dirsi seria, strutturata e che non sia becero populismo estemporaneo.

La seconda considerazione riguarda l’intervista del Ministro Lorenzin al quotidiano La Stampa, rilasciata dopo che il polverone mediatico era stato sollevato, di cui cito qualche stralcio:

«Mi scusi, ma c’è scritto da qualche parte “Devi fare un bambino” o “devi partorire”? Distinguiamo l’aspetto sociologico da quello sanitario.»

«In Italia c’è un allarme demografico: se si continua così, si rischia la crescita zero nel 2050. E so che sul tema della natalità influiscono politiche del lavoro, fiscali, sociali. Ma io sono il ministro della Salute e mi occupo dell’aspetto sanitario.» 

Forse il Ministro della Salute non sa che anche in medicina si sta affermando, ormai da decenni, il paradigma biopsicosociale, un modello secondo il quale – in estrema sintesi – salute e malattia sono da intendersi appunto come il risultato di una complessa interazione di fattori biologici, psicologici e sociali.

Quindi, per un Ministro della Salute, parlare di politiche del lavoro, fiscali e sociali è assolutamente necessario, ma soprattutto è necessario progettarle in sinergia con gli altri Ministeri, vedendo il cittadino nella sua globalità. Ed è necessario anche comprendere le persone dal punto di vista psicologico. Quanto meno, non ideando campagne che le facciano sentire in colpa e inadeguate, producendo così, se possibile, un danno psicologico anziché un benessere.

Questo post non ha alcuna immagine correlata, perché ritengo che ormai le immagini pubblicitarie siano ampiamente note a tutti i lettori, e non desidero darvi ulteriore risonanza.

I regali del 2015 a psicologia e neuroscienze

L’anno appena passato è stato ricco di scoperte in materia di neuroscienze. Carolyn Gregoire sull’Huffington Post, ripresa e tradotta da Simone Valesini su Wired Italia, pubblicano un’interessante rassegna delle 8 principali scoperte effettuate da neuroscienziati e psicologi nel 2015.

  1. Cosa succede al nostro cervello con un uso eccessivo dello smartphone?
  2. Le droghe psichedeliche (LSD, MDMA) possono avere indicazioni terapeutiche sotto il controllo medico?
  3. Lo smog fa sicuramente male alla nostra pelle, e ai nostri polmoni. Ma che dire del nostro cervello?
  4. Lo sapevate che c’è un sistema linfatico nel cervello?
  5. Cancellare selettivamente alcuni ricordi è possibile, o è materia da film di fantascienza?
  6. Passeggiare all’aperto migliora l’umore, riduce l’impulsività, allunga la nostra percezione soggettiva dello scorrere del tempo. Solo buon senso comune o risultato di studi di prevenzione?
  7. In che modo la nostra alimentazione influenza il funzionamento del nostro cervello e quindi la nostra personalità?
  8. Qual è il legame tra quantità e qualità del sonno e intelligenza emotiva?

Tutte le risposte ai link sopra indicati!

Con i miei migliori auguri di un sereno ed emozionante 2016.

 

Il 2015 avrà un secondo in più.

Apprendo da un articolo di Wired che a giugno 2015 verrà aggiunto un secondo ai nostri orologi. Era già successo nel 2012, ma sinceramente non ne avevo sentito parlare. É il “secondo intercalare”, in inglese leap second, un aggiustamento applicato agli orologi atomici mondiali, necessario per uniformare l’ora artificiale del tempo coordinato universale (UTC) alla rotazione terrestre.

L’articolo spiega che alcuni siti web potrebbero registrare interruzioni temporanee del servizio. A me personalmente la notizia ha suscitato riflessioni di natura diversa.

Al di là di ogni considerazione scientifica, mi sembra una cosa dolce. Quasi un dono.
Non cambierà assolutamente nulla, di fatto. Dare un nome diverso al tempo non lo dilata. Ma riflettere sul tempo ci dà l’occasione di viverlo con più consapevolezza, più amorevolezza.
E si può scegliere un secondo qualsiasi, senza aspettare giugno. Magari anche più di un secondo.

orologio-now-now

 

(Cover photo by Jon Tyson on Unsplash – non ho trovato l’autore della foto al bellissimo now clock)

Tenere un diario: un toccasana per mente e corpo

Un articolo del Time, ripreso da Wired Italia, riporta una notizia molto interessante: tenere un diario è un toccasana per la mente e il corpo. Prendere carta e penna per dare sfogo ai propri pensieri e sentimenti aiuta anche la guarigione della pelle lesa, dimezzando addirittura i tempi di guarigione.

Lo studio è stato condotto all’Università di Auckland, (Nuova Zelanda), da un gruppo di ricerca guidato dalla dott.ssa Elizabeth Broadbent.

La ricerca ha visto protagoniste 49 persone anziane, in salute, tra i 64 e i 97 anni. In questa fascia d’età la rimarginazione della pelle è particolarmente delicata e lenta. I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi: il primo ha dedicato 20 minuti al giorno alla descrizione dell’evento più traumatico della propria vita, in modo aperto e sincero, esprimendo, se possibile, emozioni e pensieri dei quali non avevano mai fatto parola con nessuno.
All’altro gruppo di partecipanti invece è stato chiesto di scrivere semplicemente i loro piani per il giorno dopo, senza menzionare i propri stati d’animo, sempre per 20 minuti al giorno. 

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Usare Facebook rende infelici? La ricerca sembra dirci di sì…

Sul numero di oggi dell’Economist è apparso un interessante articolo, il cui titolo, tradotto, suona più o meno così: “Facebook nuoce alla salute – Fatevi una vita! – L’uso dei social network sembra rendere le persone più infelici”.

Uno studio appena pubblicato dalla Public Library of Science, condotto da Ethan Kross (University of Michigan) e Philippe Verduyn (Università di Leuven, Belgio) ha mostrato che più si usa facebook, più si è insoddisfatti della propria vita.

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Studi precedenti avevano dimostrato che l’uso di Facebook è associato a gelosia, tensione sociale, isolamento, depressione.
Questi studi però erano tutti trasversali, cioè fotografavano la situazione in un momento preciso. Il rischio di questo tipo di studi è quello di non poter distinguere causa ed effetto: chi si sente depresso passa più tempo su internet, o passare più tempo su internet rende infelici?  Continua a leggere Usare Facebook rende infelici? La ricerca sembra dirci di sì…