Voglio condividere con voi alcuni interessanti dati letti su “Il Fatto Quotidiano” di oggi.
Salute fisica e salute mentale come due facce della stessa medaglia. Gli psicologi lo affermano da sempre, ma parevano bei discorsi campati per aria, tipici di quello che nell’immaginario collettivo è lo psicologo con la testa tra le nuvole, perso nelle sue metafore e nelle sue interpretazioni dei sogni, come se invece non fosse un professionista a stretto contatto con delle persone e con i loro problemi quotidiani.
Finalmente ci sono delle cifre.
L’Unione Europea nel 2009 ha calcolato che in Europa ci sono 82,7 milioni di persone, pari al 27.4% della popolazione europea (dato al quale manca la fascia 0-18 anni), che soffrono di disturbi psicologici di vario tipo.
Ciò rappresenta evidentemente un costo per la società, sia in termini di scadente qualità di vita di individui e famiglie, sia, aspetto che forse può interessare di più i vari Governi, in termini di spesa sanitaria diretta e indiretta.
Il costo finanziario di questa situazione è infatti stimato tra il 3% e il 4% del PIL degli Stati membri. In totale, in Europa, si parla di 436 miliardi di euro, la cui maggior parte è legata all’assenza sistematica dal lavoro, all’incapacità di lavorare e al pensionamento anticipato.
Il 2 febbraio 2011, la London School of Economics ha pubblicato i risultati di uno studio quadriennale di economia sanitaria, significativamente intitolato “No health without mental health: a cross-government mental health outcomes strategy for people of all ages”.
In esso si delinea un’analisi costi-benefici degli interventi possibili per ridurre le spese che il sistema sanitario e quello economico inglese affrontano per contrastare la depressione e i disturbi d’ansia. Si conclude che una programmazione mirata alla prevenzione e alla cura di questi disturbi attraverso un intervento psicologico piuttosto che esclusivamente farmacologico riduce drasticamente la spesa sanitaria e incide significativamente sul PIL nazionale.
A questo indirizzo potete leggere l’articolo de “Il Fatto Quotidiano”.
A questo indirizzo potete scaricare lo studio in formato .pdf (chiaramente, ahimè, solo in inglese).