Normalità… cosa significa?

Questo post nasce su suggerimento di alcuni lettori. La curiosità che mi espongono è: spesso si dicono, o si sentono dire, frasi come “quello non è normale!”, “quello è pazzo!”
Ma… cosa è davvero “normale”? Come è definibile la “pazzia”? Qual è la linea di confine? Ovviamente la questione è filosoficamente molto complessa, e non pretendo di esaurirla in questa sede, ma condividerò volentieri con voi alcune riflessioni.

La “normalità”

Il concetto di “normalità” può essere inteso in diversi modi.
Innanzitutto, ha un significato statistico, e quindi, sperando di non diventare eccessivamente noiosa… faccio un breve ripassino scolastico!
Se per esempio voglio rilevare una caratteristica come l’altezza in una determinata popolazione, probabilmente il risultato che otterrò sarà rappresentabile in questo modo:

L’altezza ha quella che si definisce una “distribuzione normale”, il che significa che il valore che compare più frequentemente è quello centrale (indicato dal tratteggio). La maggior parte delle persone infatti ha un’altezza media, mentre poche persone sono molto alte o molto basse. Il valore che compare più frequentemente, tra l’altro, viene detto “moda”… e a questo proposito ci sarebbero altre interessanti osservazioni da fare su cosa si intenda per “moda” nella nostra società… ma non divaghiamo.

Tornando alla nostra “normalità”, è chiaro che il termine può assumere connotazioni morali, soprattutto quando si parla di comportamenti piuttosto che di caratteristiche fisiche. In questo senso sono “normali” tutti i comportamenti accettati da una certa società in un determinato contesto storico-culturale, e quindi “normale” non è ciò che accade con più frequenza, ma ciò che si presume dovrebbe accadere con maggior frequenza.

In questo senso, non solo la pazzia, ma anche la criminalità è una devianza dalla norma.
Come mette in luce il filosofo Michel Foucault nel saggio Histoire de la Folie a l’âge classique, pubblicato per la prima volta nel 1961 e divenuto ormai un classico, per lungo tempo i “folli” e i criminali furono accomunati, vivendo destini paralleli. A partire dalla scomparsa della lebbra in Europa, i lebbrosari vennero utilizzati come luoghi di isolamento per una gran varietà di individui che venivano respinti dalla società, e quindi anche dalla città: poveri, vagabondi, prostitute, libertini, pazzi. Non si trattava solo di utilizzare in qualche modo edifici ormai dismessi, ma di trovare nuove categorie di persone che andassero a ricoprire il ruolo sociale dell’emarginato, che fino a pochi anni prima era per eccellenza il lebbroso.

Poi sorsero i primi manicomi, ove spesso, oltre ai malati mentali, venivano internati anche i criminali e i vagabondi: anziché cacciare gli anormali fuori dalla città, si erigevano mura all’interno delle città stesse per isolarli.
Soltanto dopo la Rivoluzione Francese si incominciò a fare una distinzione tra “folli”, criminali e vagabondi, ma il parametro principale in base a cui lo Stato si interessava o meno dei malati mentali era sempre e solo la loro pericolosità sociale. Chi viveva un disagio psichico, magari anche profondo, ma non turbava la quiete pubblica, era completamente abbandonato a se stesso.

La “pazzia”

I termini “follia” e “pazzia” non sono chiaramente termini scientifici, e quindi sono necessariamente imprecisi. Possiamo dire che il “pazzo”, nell’immaginario collettivo, è la persona con disturbi mentali gravi, di tipo psicotico.

Da un punto di vista scientifico, però, la distinzione è sfumata: tra il pieno benessere psicologico e le gravi patologie c’è una vasta gamma di situazioni non patologiche, ma neanche ottimali per l’individuo, e di disturbi minori.

La psicologia clinica tiene conto della complessità della questione, e non mira unicamente a guarire le malattie mentali, bensì a promuovere la salute, intesa come uno “stato di completo benessere psicofisico, mentale e sociale, e non soltanto l’assenza di malattia o infermità”, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. È anche per questa ragione che ultimamente le persone hanno meno resistenze a recarsi dallo psicologo: la società stigmatizza molto meno chi richiede un aiuto di questo tipo, si inizia a comprendere che non occorre “essere pazzi” per chiedere un consulto. Si può non avere alcun tipo di psicopatologia, ma desiderare un sostegno per vivere la propria vita in maniera più serena, più appagante, più consapevole.

Perché il problema dell’anormalità è così sentito nella nostra società?

Il problema non è solo molto sentito, è anche molto rappresentato. Basti pensare all’insistenza con cui i crimini più efferati (da Cogne ad Avetrana) vengono seguiti dai TG e dai talk show, e a tutti i popolarissimi telefilm incentrati sui temi della criminalità e della pazzia, dai vari “C.S.I.” a “Law & Order”, con lo spin-off “Law & Order – Unità Vittime Speciali”, che si occupa dei crimini a sfondo sessuale, fino a “Criminal Minds”, in cui una squadra di criminal profiler dell’F.B.I. elabora profili psicologici e comportamentali di feroci serial killer.

Probabilmente la ragione è semplice: l’immagine della devianza è un’immagine di cui ogni società ha bisogno. Tutti, fin da bambini, impariamo a comportarci secondo regole sociali: dobbiamo capire cosa “si fa” e cosa “non si fa”, cosa è “giusto” e cosa è “sbagliato”. Man mano che cresciamo e la nostra realtà sociale si amplia, le cose si complicano, soprattutto in una società come la nostra, che non dà più modelli di riferimento univoci.
Nelle società cosiddette “tradizionali”, i confini fra “giusto” e “sbagliato”, “lecito” e “illecito”, “normale” e “folle” erano tracciati in maniera netta, e difficilmente erano messi in discussione. I giovani aderivano più frequentemente, forse più spontaneamente, forse più acriticamente, alla propria tradizione. Oggigiorno, ogni generazione è messa a confronto con una gran varietà di idee, valori, modelli di comportamento, talvolta molto diversi da quelli della propria famiglia di origine, e vi sono quindi molte più possibilità di scelta.

Ecco quindi che il problema dell’anormalità, inteso come problema del confine tra “normale” e “diverso”, “giusto” e “sbagliato”, oggi si propone con gran forza.

Spero di aver soddisfatto almeno in parte le vostre curiosità!

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